In Congo il cacao è il nuovo oro

Cacao - immagini per BLOG POST
Ad agire sono i sanguinari miliziani delle Adf: il traffico è favorito da «complici triangolazioni» dei Paesi vicini: le stragi sono quotidiane e gli abitanti dei villaggi del Nord Kivu devono fuggire

L’economia di guerra in Repubblica democratica del Congo non si ferma all’oro e al coltan; va oltre le terre rare e i minerali preziosi. Supera il cobalto e arriva dritta alle piantagioni di cacao.

Sempre più spesso, e con sorpresa di chi ci vive, il bottino di guerra passa attraverso i campi coltivati, per i quali si massacra senza pietà. «C’è l’oro a Bunia, il coltan a Masisi, la cassiterite a Walikale e il cacao a Beni», racconta all’International Crisis Group, Christophe, un agricoltore del Nord Kivu.

Le piantagioni di fave di cacao contenute nelle cabosse sono da mesi nel mirino dell’Adf, l’Alleanza delle forze democratiche. Tanto più che sul mercato internazionale i prezzi del cacao sono schizzati alle stelle. Queste grosse bacche alla base della produzione di cioccolato fanno gola quanto l’oro. Ad aprile scorso una tonnellata di cacao sfiorava i diecimila dollari sui mercati esteri: nell’Ituri le quotazioni alte sono una benedizione.

Nel Nord Kivu tutt’altro. «Non c’è dubbio che questo è uno dei motivi all’origine dei massacri nella regione di Beni-Lubero», conferma da Butembo padre Martin. «Gli autori di queste atrocità sono una nebulosa di miliziani che fanno parte dell’Adf, gruppo armato locale complice degli aggressori stranieri».

Tra i ladri di terra e cacao ci sono però gli stessi militari congolesi. «I produttori di cacao sono minacciati tanto dall’Adf quanto da alcuni militari che si dedicano al furto di bacche, e anche dai civili che si trasformano in banditi per fame», spiega Richard Kirimba, rappresentante della società civile di Beni.

«Un lavoro durissimo per coltivare il cacao, poi arrivano i miliziani dell’Adf e prendono il controllo delle nostre coltivazioni, quando si avvicina il tempo del raccolto», racconta ancora Christophe.

L’Adf imperversa da anni nel Kivu, ad est, ed è una delle formazioni più spietate del terrorismo africano islamista collegato all’Uganda, assieme all’M23. Il mese scorso un video atroce (circolato su canali social “privati”) mostrava una vera e propria esecuzione di massa nel verde della foresta. Corpi di esseri umani trattati come tronchi d’albero; colpiti dai machete come si colpisce l’erba alta del bush.

«Da quando si sono intensificati i massacri nella parte Est della strada nazionale numero 4 nel territorio di Beni, dove la popolazione coltivava il cacao, la gente si è spostata verso ovest. Questo è il periodo dei primi raccolti», spiega ancora padre Martin. Si è più disposti mentalmente ad accettare che siano l’oro e il coltan a scatenare una guerra, piuttosto che coltivazioni locali da sempre in mano ai contadini.

Eppure la prospettiva di guadagno attizza piani «diabolici», come li definisce padre Martin. La triangolazione perfetta del bottino di guerra viene replicata con le bacche di cacao: quelle sottratte agli agricoltori locali al momento del raccolto passano principalmente per l’Uganda, prima d’essere esportate fuori dal continente. Sylvere Mumbere è un contadino che coltiva il suo campo di cacao ad un centinaio di chilometri dal villaggio di Oicha, nel Nord Kivu. Nonostante il rischio di venire aggredito dai miliziani per via della quantità rilevante di fave di cacao che produce, Sylvere continua a lavorare alle sue piantagioni. «Quando non c’è niente da mangiare in casa e bisogna pagare le tasse scolastiche ai figli, allora è necessario rischiare», racconta al quotidiano Deutsche Welle.

«Io sono già sopravvissuto ad una imboscata dell’Adf: li ho visti, ero in moto con mio fratello. Lui lo hanno ucciso, io sono riuscito a fuggire». Una quotidiana ruolette russa alla quale gli abitanti del Congo sono oramai avvezzi.

L’alternativa è fuggire, alimentando il numero di sfollati interni. Lewis Saliboko ha abbandonato il suo campo: «i ribelli ci hanno sorpreso mentre lavoravamo – dice – Io avevo una piantagione di sei ettari di cacao e stavo già iniziando a raccoglierlo». L’arrivo delle milizie lo ha costretto a mollare tutto: «rimpiango il mio campo proprio ora che i prezzi del cacao sono così elevati».

E in effetti non è un caso che l’Adf si stia avvicinando proprio ora alle piantagioni super-redditizie. Più che motivi pseudo-religiosi islamici, a spingere i ribelli alla mattanza sembra essere la prospettiva di guadagno. «Nei villaggi attorno a Goma la situazione è tremenda, la gente sta molto male», conferma padre Eliseo Tacchella, missionario comboniano oggi in Italia, costantemente in contatto con i confratelli e con gruppi locali.

Ancora una volta una conferma: la guerriglia (oramai sempre più una guerra vera e propria che coinvolge il Ruanda), in Repubblica democratica del Congo colpisce soprattutto la gente comune e i più poveri.

 

Articolo tratto da Avvenire.it

Tutti i diritti sono riservati